I “cagnetti” morti di Diego Marcon

Tra tenerezza e turbamento

Il Centro Pecci a Prato.

Meno di un anno fa ho visitato la mostra Glassa di Diego Marcon al Centro Pecci, in cui disseminati tra le sale si trovavano questi teneri "cagnetti", sculture di ceramica inchiodate al muro. Di primo impatto, cani che rispecchiano l’immagine-idea che possediamo del cane: nel senso, cani dalle linee morbide, lucide come il loro pelo e talvolta con gli occhi aperti, ma in realtà sono morti.

I cagnetti di ceramica di Diego Marcon.

Il contrasto, l’horror vacui intenzionale delle sale, iniziate da due installazioni video molto suggestive con quei flash del primo video, come un disco che si incanta, e quelle talpe del video finale ci fanno riflettere più che sull’infanzia, sull’impatto dell’infanzia nel presente: il nostro io-bambino.

Installazione video di Diego Marcon.

Sembrerebbe che i cani non rappresentino un ricordo così felice, ma piuttosto uno “shock”, provocando così un momento di sospensione: il confine tra il sentimento di protezione e quello di perdita è sottile e con effetti disorientanti. L’artista ci invita a riflettere sul tema della soglia, anch’esso benjaminiano, l’orrore della perdita dell’infanzia o forse un’infanzia mai vissuta che abita in noi come un fantasma. I cani sono morti.

I cagnetti di ceramica di Diego Marcon.

Nell’immaginario infantile, il cane è spesso simbolo di affetto incondizionato, protettore e amico fedele: questi incredibili animali incarnano il valore della lealtà e possono aiutare i bambini a sviluppare empatia e capacità di cura. Durante l’infanzia, il cane può rappresentare un rifugio sicuro, una presenza stabile, un punto di riferimento che accompagna il bambino nella scoperta del mondo e di sé. Tuttavia, Marcon sovverte questa immagine idilliaca, offrendo una visione disturbante e ambigua.

I cagnetti di ceramica di Diego Marcon.

La morte diventa un tema centrale, rappresentando la perdita dell’innocenza e forse il duro confronto con la vita. Nonostante questo elemento di inquietudine, le opere di Marcon riescono comunque a mantenere una certa dolcezza, richiamando quel legame affettivo che molti di noi associano ai cani nell’infanzia.

Marcon, con la sua estetica apparentemente pulita e semplice, crea un dialogo potente tra due sentimenti opposti: i cani nelle sue opere sono allo stesso tempo familiari e perturbanti, sospesi tra il ricordo dell’infanzia e il confronto con la mortalità, ma anche con l’essere adulti.

I cagnetti di ceramica di Diego Marcon.

E chissà quante altre suggestioni: un educatore cinofilo potrebbe anche dirci che quei cani potrebbero anche essere i cani dei proprietari che li tengono talmente privi di stimoli da essere morti. 😅

Un fotogramma dall'installazione video di Diego Marcon.

Bellissima anche l’opera poetica edita da Lenz di Marcon intitolata Oh mio cagnetto una raccolta di 81 filastrocche brevi che ruotano intorno alla figura di un cane mancato e compianto.

Ve ne lascio un assaggio:

«Oh mio cagnetto sei bel che morto | Ricordo noi due sul molo del porto | Ricordo noi due tuffarci nel mare | Ricordo di pietra, mi fai annegare.»

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